Samy Youssef racconta l’arrivo in Italia con il barcone: “Stavo per affogare”

05 Ott 2021 Fabiano Minacci • Tempo di lettura: 3 minuti

Samy Youssef l'arrivo con il barcone

Samy Youssef è un modello di successo, ma sappiamo tutti che per avere il suo lieto fine ha dovuto lottare parecchio. Il gieffino è scappato dall’Egitto ed ha affrontato una brutta traversata nella quale ha quasi perso la vita. Oggi mentre parlava con Francesca Cipriani il 25enne ha raccontato cosa gli è successo.

“Ho attraversato il mar mediterraneo anche senza saper nuotare. La traversata è stata molto brutta, me la ricorderò sempre, è durata diversi giorni. Ho bevuto così tanta acqua salata. Se mi hanno spinto? No è che si è ribaltato il barcone. Il gommone era per massimo cinque persone e noi eravamo più di venti sopra. Calcola che io non so nuotare e ho rischiato davvero grosso”.

Considerato il fatto che è in nomination, sono quasi sicuro che venerdì Alfonso troverà uno spazio per far raccontare a Samy Youssef la sua storia in prima serata.

Samy Youssef, l’arrivo in Italia.

“Arrivato in Sicilia la Polizia mi ha portato in una casa famiglia, ma ci sono rimasto un giorno solo. Il tempo di andare là e farmi una doccia. Che poi la doccia è un modo di dire. Da dove sono io, non ho mai fatto la doccia. C’era solo un pentolone. Non sapevo né mettere l’acqua calda, né fredda.

Il mio sogno era andare a Roma, così ho preso un treno. Ogni volta che un controllore mi trovava senza biglietto dovevo scendere. Nessuno mi capiva perché parlavo soltanto arabo.

Poi arrivato nella capitale sono andato poi nella caserma da solo. Non parlavo italiano. E lì nella caserma mi indicavano delle cose. Solo che non capivo quello che mi dicevano e sono scoppiato a piangere disperato, davanti alla polizia. Mi hanno preso, mi hanno portato da un’altra parte e poi lì sono stato in una casa famiglia, a Roma, per due mesi. Solo che volevano mettermi in prova, per veder un attimo come ti comporti, come non ti comporti ecc… Solo che io chiedevo lavoro, chiedevo lavoro, chiedevo lavoro… e a una certa c’era questa casa famiglia, a Tarquinia, perché comunque ero minorenne e non potevo stare da solo. Quando m’hanno trasferito là a Tarquinia, in quella casa famiglia… lì è nata tutta la mia vita”.

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