Napoli, ragazzo gay pestato da un gruppo di 10 uomini: “Gli agenti hanno solo allontanato gli aggressori”

Ragazzo gay pestato in centro a Napoli.

19 Set 2020 Anthony Festa • Tempo di lettura: 5 minuti

Nuova orrenda aggressione ai danni di un ragazzo gay, è la seconda in meno di 24 ore. Dopo la coppia di Padova, anche un ragazzo napoletano è stato deriso al grido di “fr**io” e poi picchiato da un branco. Quello che ha fatto arrabbiare Gianmarco Vitagliano è che dei militari sono intervenuti durante il suo pestaggio, ma si sarebbero limitati ad allontanare gli aggressori.

“Ore 19:00
Stavo con i miei amici e con mio fratello a Mezzocannone, stavamo chiacchierando tranquillamente, sul marciapiede, fuori l’ingresso di Mezzocannone.
Un uomo su una quarantina, pelato, bianco, alto il doppio di ognuno di noi, assieme alla moglie ed al figlio di quattro anni, con fare aggressivo, arrogante e camorristico, si avvicina a noi: “Ma p passà aggià vulà? N’agg capit! Facit passà, ja!”, questa la sua frase.
Io rispondo, cercando di contenere la rabbia per quell’atteggiamento prevaricante. “Basta chiedere permesso comunque!”, affermo.
Di tutta risposta, l’uomo alto ferito nel suo orgoglio e nella sua dignità in quanto padre di famiglia, inizia ad alterarsi e ad offendermi. Mi ricordo un “fr**io” messo a caso, come se la mia identità potesse essere in qualche modo lesa. Io continuo a rispondere, mentre Jonathan, mio fratello ed i miei amici prendevano le mie parti.
Da lì parte la minaccia da parte dell’uomo, che non voleva dare prova della sua forza bruta davanti alla moglie ed al figlio ma solamente in loro assenza, affinché la figura del papà e del marito orco, brutto e cattivo non uscisse fuori.
Io e Jonathan rispondiamo, dicendo che ci avrebbe trovati lì.

Ore 19:30 circa

Ci spostiamo da Peppe Spritz, a Piazza Bellini.
Ci prendiamo qualcosa da bere e parliamo, ridiamo, scherziamo. Ad una certa vedo lo stesso tizio alto, robusto, bianco e pelato, che inizia a sbraitare, a lamentarsi.
Veniamo accerchiati da un gruppo di ragazzi, quasi una decina di loro. Uno di loro mi prende per il collo, mi stringe. Io gli intimo di lasciarmi.
Mi arrivano tre pugni in faccia, tra il naso ed il muso, ed una ginocchiata. Inizio a sanguinare.
Vengo soccorso, portato dentro il locale.
Vedo i militari intervenire, ma i teppisti, capeggiati dallo stesso energumeno, vengono semplicemente allontanati.
Dentro vengo a sapere che anche Jonathan è stato aggredito, ma che per fortuna stava bene. Vengo anche a sapere che per distogliere qualsiasi tipo di pista che potesse andare a suo svantaggio, il grosso codardo bianco, che per aggredire ha dato origine ad una vera e propria azione squadrista, aveva accusato Jonathan di averci provato con la moglie e che eravamo stati noi, sei ragazzi tre volte più piccoli fisicamente di lui, ad accerchiare lui.

Io sto bene. Non ho riportato nessuna ferita grave. Ma provo rabbia, tantissima rabbia.
Vivo Napoli intensamente da quando avevo 14 anni, ci esco da quando ne avevo 16. Questa città mi ha visto crescere e affermarmi. Ho avuto a che fare con realtà di ogni tipo, in particolar modo con l’inizio dell’Università e con l’inizio della militanza politica studentesca. Ma non avevo mai vissuto una cosa del genere.

Io sto bene, ma sono arrabbiato. Oggi ho avuto l’ennesima prova di come il vuoto istituzionale, quello che ha ucciso Willy e Maria Paola la scorsa settimana, quello che è reso ancora più forte dall’odio che la classe politica dirigente fatta da personaggi come Salvini o la Meloni, sia un problema. Perché non ho visto oggi volanti della polizia che ho visto più volte girare per le piazze creando problemi alla movida, o che protegge comizi incentrati sulla propaganda dell’odio, dell’ignoranza, dell’intolleranza, o che vuole sgomberare spazi occupati, beni comuni, che mirano alla creazione di una realtà collettiva alternativa a quella disastrata dagli interessi individuali.

Io sto bene, ma provo rabbia. Sono dichiaratamente omosessuale da quando avevo 19 anni, ed eccetto una sola volta non sono mai stato offeso per la mia natura, quella che mi caratterizza, che mi permette di vivere l’amore con una enorme sincerità, con tutto me stesso, perché essere libero è ciò che per me conta. Perché essere parte della comunità LGBTQIA+, prendere parte alla lotta transfemminista nelle città, denunciare questo sistema eteropatriarcarle cisgender di cui quell’uomo è purtroppo vittima, fa parte di me, così come fa parte di Jonathan, di mio fratello, dei miei amici e di tante altre persone: ragazze, ragazzi, donne e uomini di ogni età, etnia, genere, orientamento sessuale.

Nonostante ciò, io continuo a lottare. Non ho paura, o comunque la provo nei limiti: non sono intimorito. La lotta fa parte di me da sempre, e non mi arrenderò di certo ora. Sono arrabbiato, ma non mi farò mangiare dalla rabbia. Provo odio per questa società ingiusta, ma è odio mosso da amore; quell’amore che continua a mantenere la lotta viva in me, in Jonathan e nelle tante persone che nel cambiamento ci credono per davvero, che continuano a sperare. E nulla ci vieterà di perdere la speranza.

Io sto bene, sono arrabbiato, ma lotto, spero. Questo sono io, e sono fiero di esserlo”.

Maria Paola, Gianmarco, Mattias e Marlos, non sono solo casi di cronaca o nomi inseriti tra una frase e l’altra in articoli sull’omofobia, ma sono persone che nel 2020 vengono discriminate, malmenate o uccise davanti all’immobilismo delle istituzioni che ancora si chiedono se una legge contro l’omotransfobia serva o se intacchi la libertà degli stessi animali che chiedono il diritto di rovinarci la vita.

Quello che la comunità LGBT può fare è ricordarsi di chi rema contro i suoi diritti e non dare sfogo ad istinti masochisti nelle cabine elettorali.

Gianmarco e la foto dopo l’aggressione in centro a Napoli.

Ore 19:00
Stavo con i miei amici e con mio fratello a Mezzocannone, stavamo chiacchierando tranquillamente, sul…

Pubblicato da Giammy Vitagliano su Venerdì 18 settembre 2020

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