Beneficenza uova di Pasqua, parla l’associazione: “Una vergogna!”

19 Mag 2024 Fabiano Minacci • Tempo di lettura: 2 minuti

Chiara Ferragni Uovo Di Pasqua Beneficenza

In questi mesi la procura sta indagando sulla beneficenza di Chiara Ferragni fra pandori, bambole e uova di Pasqua. Le aziende in questione sono rispettivamente Balocco, Trudi e Dolci Preziosi. Quest’ultima azienda è gestita da Franco Cannillo che, contattato da Selvaggia Lucarelli per il suo libro Il Vaso Di Pandoro, ha svelato un po’ di cifre.

“La beneficenza? Non c’è stata assolutamente correlazione fra le vendite delle uova di Pasqua e la donazione ai Bambini delle Fate. Ferragni è stata pagata per aver ceduto la sua immagine, noi abbiamo fatto una donazione, per lei non era da contratto. Quanto è stata pagata? A memoria 500.000 euro nel 2021 e 700.000 euro nel 2022, nel 2023 ha chiesto una cifra esorbitante e non abbiamo più chiuso il contratto”.

Quindi, un po’ come successo per Balocco, Dolci Preziosi ha fatto una donazione e successivamente ha stipulato un contratto commerciale con Chiara Ferragni che ha prestato la propria immagine e i propri social per fare pubblicità.

Beneficenza uova di Pasqua, parla l’associazione: “Una vergogna!”

L’associazione a cui Dolci Preziosi ha fatto beneficenza è stata i Bambini delle Fate di Franco Antonello che, sempre contattato da Selvaggia Lucarelli, ha dichiarato:

“Non abbiamo mai avuto contatti con Ferragni, ho provato a contattarla e parlarle ma non è stato possibile. Ci sono stati donati dei soldi da Dolci Preziosi, un anno 12 mila euro e l’anno dopo 24 mila euro. Ho accettato perché c’era il nome di Chiara Ferragni sulle uova, pensavo che di lì si potesse fare cose più importanti, invece è finita così. […] Quello che mi stupisce è che abbiano dato 700 mila euro per la testimonial e 12 mila euro per il sociale. Una vergogna!”.

Se la procura ha indagato Chiara Ferragni per truffa, non è certo per le cifre intascate – che sono spropositate rispetto a quelle che sono state donate – ma semplicemente per la modalità con cui sono stati pubblicizzati i prodotti che potrebbe aver fatto intendere al consumatore che l’ammontare della donazione era in qualche modo correlato al numero delle vendite.

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