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Andrea Pinna sparito, le fan sbottano: “Ci deve 20 mila euro”

Fabiano Minacci 31/07/2025

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Nelle ultime ore, Grazia Sambruna su MowMag ha parlato di Antonio Andrea Pinna, uno dei primissimi influencer italiani a riuscire a monetizzare grazie alla propria creatività. Da tempo, però, sembrerebbe attraversare un periodo di difficoltà. Due anni fa, raccontando di una lite con Tommaso Zorzi, aveva confessato di essere stato diagnosticato come bipolare e di aver tentato più volte il suicidio.

Da un paio di settimane, però, Antonio Andrea Pinna risulterebbe irreperibile, dopo che un gruppo di sue follower ha iniziato a tempestarlo di messaggi chiedendo il rimborso di quanto speso per l’acquisto di borse di marca a prezzi scontati. Secondo quanto riportato, Pinna si sarebbe reinventato nella rivendita di accessori e borse firmate – tra cui Chanel, Gucci e altri brand di lusso – proposti a prezzi ribassati perché difettosi. Il tutto avverrebbe attraverso gruppi WhatsApp e Telegram da lui gestiti, chiamati Oche Spennate. “Quella che vi offro è merce originale, nessuno potrà mai certificare il contrario” – diceva – “prodotta dalle firme dell’alta moda, ma che poi non ha passato i test di qualità per piccolissimi difetti di fabbricazione, dettagli praticamente impercettibili all’occhio umano. Sarebbe uno spreco buttarle via, sono pazzesche!“.

Stando a una stima di Sambruna, Antonio Andrea Pinna avrebbe ricevuto dalle sue fan, un gruppo di 45 persone, circa 25 mila euro (più precisamente 24.860 euro). Ma queste donne, dai 30 ai 60 anni, avrebbero ricevuto “chincaglieria da discount” e per questo motivo da tempo “cercano di renderla al mittente, invano“. Ad altre è andata pure peggio e non avrebbero ricevuto niente. “Moltissime altre, non vedendo arrivare nulla (nonostante i 50-90 giorni promessi per la spedizione con l’opzione ‘Soddisfatti o rimborsati’), hanno tentato di annullare l’ordine, ottenendo solo fantasiose scuse da parte di Pinna che, col senno di poi, sembra aver cercato di tenersele buone, finché possibile“.

Prima di smettere di rispondere, nella chat di gruppo pubblicata da Sambruna si legge l’ultima nota audio inviata da Pinna alle followers: “Vi informo che io di soldi non ne ho, sono nullatenente, non possiedo nemmeno una macchina, un mobile, niente. Vi conviene che io continui a lavorare, così magari potrò restituirvi quanto avete speso. Altrimenti, rivolgetevi pure agli avvocati. Staremo in causa per anni, magari pure 17 come è successo a mia mamma per un rimborso, e finirete per spendere molto di più rispetto a quanto mi avete dato. Senza ricavarci alcunché, i miei legali mi hanno già tranquillizzato“.

Antonio Andrea Pinna, i metodi di pagamento e le scuse sui ritardi

Pinna, stando alla ricostruzione del caso, non voleva ricevere soldi a suo nome. “Pinna precisava alle clienti di non far alcun pagamento a suo nome, rimandando a una cricca di collaboratori. Quasi nessuno di questi, pur rispondendo a mail e messaggi delle acquirenti, ha profili social” – si legge su MowMag – “Uno in particolare, tal Eugenio Piras, è omonimo di un personaggio che compare in uno dei romanzi di Pinna. Per carità, può sempre essere una coincidenza…“.

Pinna pretendeva che il pagamento fosse fatto subito, non a suo nome e tramite PayPal, indicando di scegliere la dicitura ‘amici/parenti’, invece di ‘beni/servizi’ (l’unica indicata alle transazioni commerciali). “Perché se no ti devo aggiungere il 21 % di Iva, amore, conviene a tutti e due, no?”, gli sentiamo dire più volte. Chi si è lasciato tentare dalla proposta, ora è nei guai. PayPal ha, infatti, una policy per cui si prende a carico i rimborsi, una volta fatto reclamo, per le transazioni commerciali, appunto. Nessuna responsabilità, invece, per quelle che coinvolgerebbero, la dicitura, amici e/o parenti“.

E quando le clienti si lamentavano del fatto che l’oggetto acquistato non fosse ancora arrivato, Sambruna sostiene che spesso lui si giustificava tirando in ballo i suoi problemi di salute.

Il rivenditore cinese

Il colpo di scena, però, Sambruna ce lo regala sul finale: “Le clienti disperate e a caccia di rimborsi sono riuscite a contattare un rivenditore cinese, attivo proprio in Cina, da cui Pinna si sarebbe rifornito, per chiedergli conto della questione borse. Pure lui non ne vuole sapere. In una mail di risposta (a nostra disposizione), scrive nero su bianco che Pinna lo avrebbe “ingannato gravemente” e che di questa storia “non vuole più saperne niente”.
Come finirà questa storia?

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